Oggi esistono molte teorie «ufficiali» sull’origine del cancro. Esse descrivono l’influenza di virus, mutazioni e agenti cancerogeni come fattori scatenanti. Ma se guardiamo più da vicino le personalità «oncologiche», osserviamo il modo in cui reagiscono allo stress, il panorama emotivo in cui si manifesta la malattia, diventa evidente che il problema del cancro ha radici psicologiche.
IN «MISSIONE» ORGANISMO
Il tentativo di collegare l’oncologia alla sfera emotiva non è affatto nuovo: già gli antichi medici greci Ippocrate e Galeno si occupavano di questo tema. Galeno scriveva che l’allegria è una prevenzione naturale del cancro. Creando la dottrina dei tipi di temperamento, Ippocrate affermò innanzitutto la tesi dell’unità psicosomatica. Disse che molte malattie sono determinate da processi interni. In seguito questo punto di vista fu confermato. È dimostrato che lo stato della sfera emotiva influisce in modo significativo sui sistemi immunitario ed endocrino dell’organismo. Le malattie psicosomatiche si manifestano proprio quando questa influenza diventa troppo forte.
L’antica medicina cinese considerava un tumore come il risultato di un accumulo e di un ristagno di sangue e di energia vitale. Le masse maligne erano caratterizzate come accumuli insensibili, cioè privi di vita, estranei al corpo. Pertanto, non solo si usavano farmaci per curarle, agendo sul tumore stesso, ma si praticava anche il Tao come metodo per cambiare stile di vita.
PIETRA DEL CUORE
Una nota metafora oncologica è «una pietra sul cuore». Con il tempo, se non viene rimosso, il sasso si trasforma in un tumore. Quando si verifica l’oncologia, si passa da un problema psicologico esterno a un problema somatico interno. L’organo danneggiato dal tumore simboleggia un pericolo esterno che non può essere affrontato in modo adeguato. L’oncologia è in realtà una resa, uno spostamento del problema dalla sfera della responsabilità personale all’accettazione delle cure: «Lasciate che i medici si occupino del mio problema, io non posso farlo».
Cosa scatena la risposta al cancro? Il punto di partenza è il trauma, un evento dopo il quale non si può più vivere come prima. È come se dividesse la vita in «prima» e «dopo», e dividesse la personalità in pre-traumatica e post-traumatica. Un evento traumatico adeguatamente vissuto ci permette di vivere nelle condizioni cambiate. Ma se ignoriamo la realtà, non la accettiamo, il corpo può iniziare a formare un tumore. Non si può fare finta di niente.
TRA IL COCCODRILLO E IL LEONE
Per l’equazione «traumatica» sono necessarie le seguenti condizioni: in primo luogo, i principi, gli stereotipi e le regole secondo cui la vita è strutturata; in secondo luogo, l’immersione in eventi che a un certo punto iniziano a divergere da questi principi.
Ad esempio, un uomo viene coinvolto emotivamente in una relazione sentimentale con una ragazza «inadatta» dal punto di vista dei suoi parenti. Per qualche tempo, la fedeltà al sistema parentale lo manterrà in una relazione stabile «tra il coccodrillo e il leone», ma un giorno dovrà fare una scelta: seguire i suoi desideri o abbandonarli. Il tradimento di sé è un ottimo esempio di trauma cronico.
Il trauma acuto si verifica in risposta alla scoperta di una realtà in conflitto con le convinzioni esistenti. La scoperta della realtà fa male. Ad esempio, una donna cresciuta in una famiglia molto rigida scopre improvvisamente pulsioni sessuali che minacciano la sua identità abituale: «Sono una brava figlia, una brava moglie». A questo punto si può ringraziare il destino per aver acquisito ciò che è sempre stato indisponibile, oppure attivare potenti meccanismi repressivi volti a espellere dalla psiche le informazioni oltraggiose. È vero che questi meccanismi non funzionano bene come la bacchetta dimentica-me-not del film «Men in Black», e quindi le informazioni espulse dalla coscienza ritornano sempre, ma già a livello somatico.
DOPO LA DIAGNOSI.
Un giorno la vita di una giovane donna cambia radicalmente, le viene fatta una diagnosi fatale. Viene licenziata dal lavoro, il suo fidanzato la lascia. Le restano solo due mesi di vita, e getta via ogni cautela, cercando di realizzare i suoi desideri insoddisfatti…
La chitarra (2008)
CAMBIARE O MORIRE
Spesso possiamo osservare una situazione in cui una persona è in realtà un «clone» di un’altra. Non si rende conto dei propri desideri. Al contrario, trasmette i desideri dell’altro come propri o sacrifica le proprie pretese in cambio di una garanzia di permanenza nella relazione. È così che si forma il fenomeno delle relazioni di dipendenza, quando il vuoto interiore viene riempito da un’attività attiva alla periferia e uno dei partner è costretto ad abbandonarsi a favore dell’altro, credendo che la sua vita sia più importante e preziosa della propria.
Le relazioni di dipendenza sono pericolose perché, finendo, lasciano uno dei partner in uno stato di totale solitudine, quando non c’è modo di contare su se stesso. In questa situazione, l’intera vita che era stata costruita intorno alla relazione viene meno. La reazione personale tipica a queste esperienze è un senso di impotenza e di disperazione, quando le mani sono a terra e non c’è più forza per nulla. Ed è a questo punto che è più che mai necessario continuare a vivere.
Simbolicamente, il messaggio dell’organismo sotto forma di risposta oncologica è questo: «Cambia o muori». Per un certo periodo di tempo una persona si trova in uno stato di stallo, quando non è possibile trovare una soluzione con le vecchie vie. A quel punto non resta che esplorare nuove possibilità o ricorrere alle cure fisiche come soluzione.
Tutti conosciamo situazioni in cui una persona perde improvvisamente il senso della vita. Questo accade spesso durante le crisi: un imprenditore perde la sua attività, un politico va in pensione, i figli crescono e creano la loro famiglia. Se la vita finisce lì, il tumore semplicemente «dà voce» alla decisione che la persona ha preso inconsciamente. E poi lo stesso tumore gli pone una nuova condizione: se vuoi vivere, devi farlo felicemente. È necessario, cioè, capire cosa ci rende vivi e fargli spazio nella nostra vita.
SOPPRESSIONE DELLA VITALITÀ
Un hobby — spesso del tutto inutile e privo di significato in termini di risultati e successo — può rivitalizzare una persona. Ma grazie ad esso si crea uno spazio libero da obblighi e debiti, uno spazio di cura del proprio stato emotivo.
L’aggressività manifestata apertamente, che è un modo universale di costruire i confini personali, aiuta anche a difendere i propri interessi. Spesso viene repressa per paura di danneggiare gli altri e di essere isolati. Ma è inutile. L’incapacità di sopportare le situazioni di conflitto crea tensioni croniche. Al contrario, la chiarificazione costruttiva dei rapporti fa progredire notevolmente la comprensione reciproca delle persone e permette loro di acquisire nuove competenze e opportunità.
L’incapacità di essere se stessi, il rifiuto di sperimentare la propria autenticità e la scelta di una falsa identità comoda e confortevole si verificano parallelamente a livello somatico. La cellula tumorale diventa estranea al tessuto in cui ha avuto origine, si divide in modo incontrollato e si infiltra in altri organi. E poi spiazza le cellule sane e prende il loro posto. Si tratta di un messaggio piuttosto trasparente per l’organismo: «Hai fatto una scelta sbagliata e ora ne stai raccogliendo i risultati». Ma non è mai troppo tardi per rimediare.
MOBILITAZIONE
Naturalmente esiste un legame tra lo stato psico-emotivo di una persona e il rischio di tumori maligni, ma è molto complesso. Le cause principali dell’oncogenesi sono biologiche. E i fattori psicologici influiscono sul sistema immunitario, influenzando la crescita del tumore. Come altri disturbi psicosomatici, sono causati da cause esterne e interne. Tra le prime vi è lo stress prolungato associato all’esperienza della perdita di «altri significativi» o a conflitti inconciliabili con essi. Le seconde includono l’infantilizzazione psicosomatica, che contribuisce allo sviluppo di molte malattie: si tratta di una tendenza alla regressione e al «ritorno all’infanzia». Ma la situazione può essere cambiata e utilizzare le riserve della psiche per mobilitare le difese dell’organismo. Nell’ultimo quarto del secolo scorso, i coniugi Simonton hanno dimostrato che la psicoterapia migliora significativamente l’efficacia del trattamento del cancro e aumenta la longevità dei pazienti. E questo è incoraggiante.
Mark SANDOMIRSKY, PhD, psicoterapeuta del Registro Europeo degli Psicoterapeuti
LAVORARE SUGLI ERRORI
Per ottenere una maggiore resilienza nell’autosufficienza, è necessario guardarsi intorno e porsi alcune domande:
- Cosa sta succedendo nella mia vita in questo momento?
- Mi piace quello che sta succedendo?
- Quali sono i valori che sostengo: quelli prescritti dalla società o quelli che risuonano con i miei desideri più intimi e stimolanti?
- Quando faccio delle scelte, cerco di evitare l’ansia o di provare qualcosa di nuovo?
- Quanto sono libero di fare ciò che voglio?
Ricordate che una nuova formazione è una reazione all’essere «bloccati» in emozioni passate e situazioni incomplete. Cercate di capire quale evento non vissuto vi rende altamente sensibili o, al contrario, eccessivamente insensibili. C’è un’esperienza della vostra vita di cui non riuscite ancora a parlare senza piangere? Cosa vi trattiene in queste emozioni e vi impedisce di andare avanti, prosciugando il vostro corpo e togliendovi energia vitale?
Le emozioni rimangono congelate solo se cerchiamo di proteggere l’area danneggiata dell’anima. Il cambiamento avviene quando cambiano gli atteggiamenti. Ma questo richiede di voltarsi per affrontare una situazione difficile e terminare ciò che ne definisce il contenuto emotivo. Per esempio, perdonare e superare un rancore, lasciare andare una persona che se n’è andata da tempo, venire a patti con una perdita, affermare il proprio desiderio di vivere nel qui e ora.
Queste pratiche non solo liberano le tensioni accumulate, ma rafforzano anche la fiducia nel fatto che ciò che accade nella vostra vita dipende solo da voi stessi. E questa è di per sé un’idea molto rivitalizzante.
AL SUONO DELLE CORDE
— Non vi consiglio di andare in clinica», continuò l’artista, «che senso ha morire in un reparto tra i gemiti e i rantoli di pazienti senza speranza? Non sarebbe meglio fare un banchetto per i ventisettemila e, dopo aver preso il veleno, trasferirsi in un altro mondo al suono degli archi, circondati da bellezze alticce e amici affascinanti?