La spontaneità dall’armadio

Spontaneità dall'armadio

La spontaneità è in disgrazia nel mondo di oggi. Essa, così innocua, ha acquisito nuovi significati: imprevedibilità, impulsività, incontrollabilità. Se prima denotava azioni e pensieri improvvisi e inaspettati, ora appare in una connessione compromettente con l’infantilismo e l’immaturità. Cosa paghiamo per questo?

Una persona capace di azioni spontanee oggi, se non è pericolosa per gli altri, è sospettosa e suscita una certa diffidenza, oltre che un atteggiamento condiscendente e paternalistico. Non si sa cosa tirerà fuori nei prossimi minuti. Nel frattempo, nella nostra natura, tutte le qualità sono presenti in misura piena e sono rappresentate da entrambi i poli. Se approviamo in noi stessi solo la prevedibilità e l’alto autocontrollo, e mandiamo la spontaneità nell’armadio, quale prezzo paghiamo per questo squilibrio?

CONSONANZE DA INCUBO

La spontaneità nella psicologia russa è apparsa storicamente in due diverse ipostasi. Da un lato, è la possibilità e la capacità di agire sulla base di motivazioni interne piuttosto che sotto l’influenza di fattori esterni. Dall’altro, è la perdita della capacità di regolare e di essere consapevoli del proprio comportamento. Ovvero, la spontaneità come momento di libera espressione di sé (quando si fa ciò che si vuole) e la spontaneità come incontrollabilità. Entrambi gli approcci sono estremamente interessanti perché sono consonanti con i due incubi della nostra epoca moderna: il rifiuto da parte del gruppo e la perdita di controllo su se stessi.

È pericoloso essere se stessi e farsi guidare da motivazioni interiori, perché questo comportamento mette l’individuo contro il gruppo. Decenni di regime comunista hanno lasciato un segno nell’inconscio collettivo della gente, che ha sempre tenuto sotto controllo se stessa e, persino nelle proprie cucine, ha evitato l’individualismo e le battute politiche. Nel nostro Paese, in questo vasto spazio post-sovietico, fa ancora molta paura dire quello che si vuole e fare quello che si vuole.

È pericoloso, vergognoso e disdicevole non avere il controllo di se stessi, ma allo stesso tempo molto desiderabile, altrimenti perché ci circondiamo di tanti strumenti per perdere l’autocontrollo? L’alcol, le droghe, le tecniche di espansione mentale ci permettono di allentare la presa del «grande fratello» nella nostra testa per qualche ora. A volte siamo disposti a fare qualsiasi cosa pur di perdere temporaneamente il controllo e la tensione che lo accompagna!

COME RIAVERE IL PROPRIO NOME ONESTO

Quando Jacob Moreno e la sua creatura, lo psicodramma, apparvero sulla scena della pratica psicologica, la spontaneità fu messa su un piedistallo perché egli la intendeva come una delle energie motrici dell’esistenza umana, anzi di tutte le cose. Moreno intendeva la spontaneità come una nuova reazione a una vecchia situazione, ma allo stesso tempo la spontaneità era nella sua concezione una forza enorme che ha creato tutta l’esistenza e continua a sostenerla. In altre parole, è l’energia di base dello sviluppo, che esiste qui e ora.

In ogni momento del nostro comportamento, possiamo essere spontanei o programmare noi stessi. Per agire in modo stereotipato, ignorando i nostri impulsi interiori, dobbiamo sopprimere l’energia della spontaneità, nasconderla in profondità, trattenere la sua realizzazione. È facile capire come questo processo diventi un terreno fertile per lo sviluppo delle nevrosi. «Essere bravi» invece di «essere se stessi», «comportarsi come tutti gli altri» invece di «decidere di fare a modo proprio», e così via.

La teoria di Moreno e dei suoi seguaci non solo ha ridato alla spontaneità il suo nome onesto, ma l’ha proclamata come obiettivo per l’autosviluppo (e la guarigione del nevrotico). È possibile essere consapevolmente e volutamente spontanei?

SORPRENDERE SE STESSI

Oggi esistono diverse aree di pratica psicologica e quasi psicologica che lavorano direttamente con la spontaneità. Allo stesso tempo, il recupero della capacità di agire spontaneamente è un sottoprodotto di qualsiasi psicoterapia.

1. Teatro di riproduzione

Nel numero precedente della rivista abbiamo parlato in dettaglio di questa nuova direzione artistica, nata all’incrocio tra teatro e psicodramma. Ricordiamo che qui gli attori recitano sul palcoscenico una storia che è stata appena raccontata loro da un pubblico. Ogni partecipante al playback theatre «cede i diritti» della sua spontaneità agli attori, che gli rivelano la storia da diversi lati e la mostrano da una nuova angolazione. Il finale è sconosciuto e imprevedibile. Non ci sono prove o letture di testi teatrali, né un regista. Ogni improvvisazione viene eseguita una sola volta in presenza dell’autore-narratore. Il teatro ha un suo rituale. Prima l’autore si siede su una sedia e racconta la sua storia, poi vengono scelti gli attori del gruppo che, insieme al conduttore e ai musicisti, raccontano la storia dell’autore. Poi l’autore condivide le sue impressioni e scoperte su ciò che ha visto e gli attori recitano il completamento. In un unico spettacolo di playback theatre possono essere rappresentate diverse storie del pubblico. Gli attori sono persone comuni (senza formazione ed esperienza particolari), riunite in un gruppo permanente sotto la guida del presentatore e «interpretate» prima di iniziare a lavorare con il pubblico.

2. Improvvisazione a contatto

È una ricerca della propria spontaneità e vivacità corporea, una danza in cui ogni movimento nasce all’interno e riflette il contenuto piuttosto che la forma. I danzatori sembrano «fluire» da un movimento all’altro, rotolando l’uno sull’altro, volando, scivolando, respingendosi e attraendosi. È una danza-improvvisazione, in ogni momento attuale il danzatore ascolta il proprio corpo e quello del partner e si muove in armonia con se stesso, con la forza di gravità, con l’inerzia, con la logica delle proprie e altrui azioni. Si esegue da soli o in duo.

La danza scioglie le tensioni, permette di scoprire e modificare i propri schemi corporei (i modi abituali di rispondere al tocco, per esempio), aiuta a realizzare le proprie esigenze motorie, dà spazio all’espressione di sé. Sorprendentemente, si può fare molto attraverso il corpo, anche con una mente scettica, spaventata o resistente. E uno dei risultati della pratica della contact improvisation è la liberazione dal costante controllo di «cosa penserà la gente».

3. disegno intuitivo

Qui si disegna lasciandosi alle spalle ogni paura e ogni inutile dubbio sulla propria competenza artistica. Si mettono su carta i propri sentimenti, ci si esprime. È un modo per conoscere se stessi e il mondo che ci circonda, immergendosi nelle profondità del proprio inconscio, che ci parla con immagini vaghe. Il criterio principale per verificare che tutto vada bene è il piacere che il pittore prova nel processo. Qui non c’è il compito di disegnare qualcosa di bello, non si usano tecniche e metodi. Spesso il disegno viene creato senza pennelli e matite, solo con le dita intinte nella vernice liquida. Il disegno intuitivo permette di andare oltre i confini, almeno oltre i confini del foglio (coprendo in modo tentacolare sia il foglio che il supporto con la pittura), e di rendersi conto della loro convenzionalità. L’obiettivo non è certo quello di insegnare la tecnica, la composizione e la combinazione dei colori. L’accento è posto sull’autoespressione, la spontaneità, la naturalezza e l’attenzione alle esigenze.

La spontaneità ha a che fare con l’infanzia, con la libertà dai giudizi altrui e con la possibilità di esprimersi in ogni modo possibile. Se il vostro bambino interiore è chiuso in una gabbia di «non posso», «indecente», «vergognoso», «spaventoso», la vostra vita è certamente sotto il vostro stretto controllo. Ma è insipida e immobile, perché è il bambino interiore la fonte della gioia, della forza, del movimento. È la nostra batteria, la nostra carica energetica. Tagliarci l’ossigeno con le vostre mani? No, per favore.