Il 5-6 novembre, presso la Biblioteca statale russa per la gioventù, si è svolto il progetto «Biblioteca vivente», in cui persone viventi hanno agito come libri: un paramedico di ambulanza, una madre con molti figli, un transessuale, un senzatetto, una donna musulmana, una persona infetta da HIV, un poliziotto e una madre in una famiglia omosessuale.
L’obiettivo del progetto è ridurre i pregiudizi nei confronti di alcuni gruppi sociali. Ciò avviene attraverso la comunicazione diretta con le persone che rappresentano i gruppi contro cui si nutrono pregiudizi nel nostro Paese. Molti scettici si chiederanno: «Come può la comunicazione con una persona cambiare il mio atteggiamento nei suoi confronti?». Una persona cauta osserverà: «Potrebbe diventare più prevenuta! Altrimenti potrebbero litigare». Ma, come già sappiamo, la «biblioteca» ha avuto un grande successo. E c’è una spiegazione psicologica. Negli anni ’50 del secolo scorso, lo psicologo Gordon Allport dimostrò sperimentalmente che il contatto diretto riduce il livello di pregiudizio intergruppi. Egli chiamò questa ipotesi «ipotesi del contatto». Tuttavia, negli stessi esperimenti è stato dimostrato che il contatto «casuale» spesso aggrava la situazione. La comunicazione rompe gli stereotipi solo quando soddisfa una serie di condizioni. Queste sono la parità di status dei partecipanti, l’assenza di competizione, l’atmosfera positiva e il sostegno delle autorità. Tutte queste condizioni sono spesso assenti se incontro per strada una persona appartenente a un gruppo stereotipato. Ma in un formato organizzato (come la Biblioteca vivente) queste condizioni sono necessariamente soddisfatte. Nel processo di comunicazione una persona si rende conto che il gruppo «altro» (ad esempio «caucasici» o «poliziotti») è estremamente eterogeneo. Quando comunica con un particolare rappresentante, si rende conto che la categoria del gruppo dell’altro è inutile per comprendere il suo singolo rappresentante.